Pianoforte, che origini ha?
Le origini del pianoforte
Sebbene il clavicembalo, prima della definitiva affermazione del pianoforte, fosse lo strumento a tastiera più usato, non si può ritenere un predecessore del pianoforte. Soprattutto per quello che riguarda la concezione meccanica dello strumento.
Il diretto antenato del pianoforte è senza dubbio il clavicordo, strumento nel quale le corde vengono percosse e non pizzicate, appartenente quindi a una famiglia diversa da quella delle spinette e del clavicembalo, i quali fanno invece parte della famiglia a plettro o a pizzico.
Nei primi clavicordi l’organo percussore fungeva anche da ponticello, ciò vuol dire che la tangente di ottone che colpiva la corda ne delimitava anche la porzione vibrante. E siccome, sotto l’azione della tangente, avrebbero vibrato ugualmente le due porzioni della corda, si applicò il cosiddetto smorzo fisso, che consisteva in un nastro di soffice panno intrecciato attraverso le corde dalla parte sinistra dell’esecutore, il quale rendeva impossibile la vibrazione di questa sezione della corda.
Il clavicordo non riuscì a superare la concorrenza del suo brillante rivale, il clavicembalo, strumento che aveva ormai raggiunto una perfezione tale da essere preferito praticamente da tutti i compositori dell’epoca.
Nonostante ciò, il clavicordo aveva alcune grandi qualità che lo rendevano, in un certo senso, superiore al clavicembalo. Prima fra tutte, la sensibilità al tocco che il clavicembalo non aveva. Poi, la possibilità di un suono, per quanto debole, legato e pieno di sfumature, di sottile fascino e di espressione. Senza parlare poi di quella caratteristica capacità a vibrare il suono mediante un leggero tremolo del dito, che i tedeschi chiamano Bebung, artificio efficacissimo, stando a quanto dice Burney, di Carl Philipp Emanuel Bach, il quale, suonando pagine larghe ed espressive, “quando incontrava note di una certa durata, riusciva a trarre dal suo strumento un grido doloroso che il solo clavicordo è capace di rendere”.
Del resto pare accertato che il clavicordo fosse lo strumento prediletto di J.S. Bach, ciò spiega anche il carattere singolarmente profetico di certa sua musica, come ad esempio la Fantasia cromatica.
La nascita del pianoforte
Il clavicordo, quindi, richiamò l’attenzione dei costruttori sulle risorse di sonorità che uno strumento a corde percosse poteva offrire rispetto al clavicembalo.
Nei primi anni di vita il pianoforte veniva comunemente chiamato fortepiano. Era costruito interamente in legno e i martelletti erano ricoperti di pelle anziché di feltro, la sonorità era lieve e cristallina.
Il primo e più importante tra i costruttori di pianoforti fu il padovano Bartolomeo Cristofori (1655-1731). Tra il 1698 e il 1700 Cristofori aveva realizzato l’invenzione di un nuovo strumento, da lui battezzato gravicembalo col piano e forte perché il principio fondamentale consisteva nell’applicazione di una martelliera al clavicembalo.
La notizia dell’esistenza del nuovo strumento si diffuse soltanto più tardi, ad opera di Scipione Maffei, con un articolo del “Giornale de’ Letterati d’Italia”. Maffei asseriva che erano già stati costruiti 3 strumenti di questo tipo, li lodava e completava la descrizione del gravicembalo col piano e forte con l’illustrazione di un chiarissimo schema della Meccanica di Cristofori.Benché fosse estremamente semplice, essa conteneva già le parti essenziali della meccanica del moderno pianoforte: martelletti articolati, indipendenti dai tasti, forniti di uno scappamento semplice e smorzatori singoli per ogni corda. Con tale meccanica era possibile graduare l’intensità del suono, mediante la maggiore o minore forza impressa al martelletto con la pressione sul tasto. Il martelletto ricadeva indietro anche se il tasto rimaneva abbassato; in caso contrario, infatti, esso avrebbe ostacolato la normale vibrazione della corda. Il problema fu risolto appunto con l’applicazione di uno scappamento, all’inizio rudimentale e poi perfezionato in un successivo modello del 1720. In questo strumento comparve il paramartello (una sorta di “freno” che aveva la funzione di rallentare la ricaduta del martelletto dopo avere percosso la corda) e venne perfezionato il sistema degli smorzatori.
Alcuni anni dopo, altri due costruttori tentarono di costruire nuovi strumenti con la speranza di ottenere l’appoggio per la fabbricazione. Erano il francese Jean Marius, che ribattezzò lo strumento con il nome clavecin à maillets et à sautereaux, e il tedesco Christoph Gottlieb Schröter. Le loro richieste, però, non ebbero fortuna.
L’appoggio e la fortuna che erano mancati a Cristofori, a Marius e a Schröter, arrisero invece a un altro tedesco, Gottfried Silbermann (1683-1753), che nella prima metà del sec. XVIII fu uno dei più apprezzati costruttori germanici di clavicembali e di organi.
Silbermann aveva conosciuto l’invenzione di Cristofori grazie all’articolo di Maffei e il primo modello di meccanica da lui progettato era una fusione degli elementi derivanti dai disegni di Cristofori e Schröter.Il nuovo strumento non piacque a J. S. Bach che ne rilevò la povertà del suono nel registro acuto e la pesantezza della meccanica. Negli anni seguenti Silbermann migliorò la meccanica e la sonorità dei modelli più recenti piacque finalmente anche a Bach.Il pianoforte non ebbe immediatamente il successo sperato. Il clavicembalo, infatti, continuò a catalizzare le attenzioni dei compositori per le sue qualità sonore che ben si sposavano con il carattere cristallino delle composizioni barocche. Intorno alla metà del ‘700, periodo in cui si verificò un mutamento nello stile compositivo e il gusto per l’ornamento lasciò il posto all’espressione e al colore sonoro, il pianoforte diventò uno strumento sempre più usato.Due allievi di Silbermann, Christian Friederici e Johannes Zumpe diedero vita a nuove industrie di pianoforte. Zumpe ne fondò una a Londra, nel 1760. Friedeciri realizzò un pianoforte rettangolare, che ricorda l’antico clavicordo, e che ebbe molta fortuna alla fine del 700 e all’inizio dell’800. In Italia veniva chiamato pianoforte a tavolo. Le corde erano disposte parallelamente alla tastiera, proprio come nel clavicordo. Il pianoforte a tavolo aveva una meccanica rudimentale, una sonorità lieve e dimensioni ridotte. Per questo motivo era utilizzato prevalentemente per scopi domestici, inadatto com’era alle esecuzioni in concerto. La diffusione del pianoforte a tavolo avvenne soprattutto in Inghilterra grazie all’opera di Johannes Zumpe e, successivamente, di John Broadwood.
In Italia Domenico Del Mela creò il primo pianoforte verticale, conosciuto con il nome di pianoforte piramidale. In realtà si trattava di un pianoforte in cui la cassa armonica del pianoforte a coda era stata montata in verticale.
Questa forma venne presto abbandonata quando, intorno al 1780, si creò una struttura diversa, rettangolare, e una intelaiatura più appropriata.
JohannAndreas Stein, allievo del Silbermann, segnò una traccia profonda nella storia del pianoforte. Egli migliorò la meccanica di Silbermann aggiungendovi uno scappamento e smorzatori simili a quelli di Cristofori. Creò ad Augusta la sua fabbrica di pianoforti e i suoi strumenti divennero famosi per la cosiddetta meccanica tedesca, apprezzata molto da Mozart.
Nel 1794 i figli, Nanette e Matthieu, trasportarono a Vienna la fabbrica. Nanette sposò il pianista e costruttore Andreas Streicher e dalla loro fabbrica uscirono pianoforti a coda di alta qualità. La meccanica era la stessa creata dal padre di lei (Johann Stein), nella quale il tasto agiva direttamente sul martelletto, senza aggiunta di leve, e prese il nome di meccanica viennese.
In Francia Sébastien Erard fondò la celebre casa costruttrice di pianoforti. Nel 1777 egli costruiva il primo pianoforte prodotto in Francia e proprio Erard inventò l’unico accorgimento che mancava alla concezione originale di Cristofori: il doppio scappamento (realizzato nel 1823).
Altro importante costruttore francese fu Ignace Pleyel, i cui pianoforti furono ampiamente apprezzati da Chopin.
I pedali del piano e del forte furono introdotti da Broadwood nel 1783. Nel 1794 Erard faceva brevettare a Londra un nuovo pedale del piano grazie alla cui azione si interponeva una striscia di stoffa tra martello e corda.
Clementi, il padre del pianoforte
M. Clementi, che operò tra il 1770 e il 1825, costituisce la cerniera tra l’età di Haydn e Mozart e quella di Beethoven. Egli fu la figura più rappresentativa del pianismo nell’età classica e il titolo di “padre del pianoforte” inciso sulla sua lapide tombale è il riconoscimento ai molteplici interventi da lui compiuti nell’area del pianoforte. Nella sua produzione si avvertono subito i caratteri di una scrittura puramente pianistica. Il nuovo stile è ricco di sonorità piene e rotonde, continui contrasti fra legato e staccato, ricchezza di colori dinamici. Inoltre egli allargò verso l’acuto e verso il grave la zona utile della tastiera, irrobustì la scrittura accordale, intensificò l’impiego dei procedimenti a doppie note, esplorò il virtuosismo di agilità basato su passaggi di scale e di arpeggi. Con il Gradus ad Parnassum pose le basi del pianismo ottocentesco. Nelle Sonate sono presenti elementi, sia tecnici che stilistici, che influenzeranno persino l’opera di Beethoven.
Questa fu la profonda differenza con Mozart, con il quale spesso fu accostato come rivale. Mozart era profondamente legato al clavicembalo e, sebbene suonasse il pianoforte correntemente durante i suoi concerti, la sua mentalità rimase costantemente legata al clavicembalo. Clementi, invece, si era dedicato da subito al pianoforte e nel 1773 pubblicava le tre prime Sonate per pianoforte op. 2.
Il XIX secolo, il romanticismo
Il Romanticismo rappresentò il periodo di maggiore splendore per il pianoforte. I compositori, guidati da una nuova sensibilità e dalla necessità di intervenire con una maggiore immediatezza, sperimentarono nuove forme di espressione musicale disgregando le regole dell’arte classica.
La ricerca continua di colori sonori sempre più raffinati e lo sviluppo del virtuosismo contribuirono ad accrescere le doti tecniche del pianoforte. Le case costruttrici si affannarono per produrre strumenti che rispondessero maggiormente alle nuove esigenze tecnico-espressive. Il pianoforte divenne lo strumento principe dell’epora romantica.
Il numero sempre crescente delle corde, la loro lunghezza e il maggiore diametro imponevano una intelaiatura sempre più robusta e resistente. Il telaio di legno non era più in grado di sopportare una tensione sempre maggiore. Nel 1808 Broadwood applicò per la prima volta dei rinforzi metallici sul telaio e nel 1822 perfezionò questa pratica. L’uso del metallo diventava sempre più preponderante. L’inglese Thomas Allen creò nel 1831 il primo telaio interamente in metallo. In seguito furono apportati miglioramenti a questa invenzione, fino a quando Theodor Steinway brevettò, nel 1872, il telaio detto cupola iron frame, che venne ripreso in seguito da tutti i costruttori. Sempre Steinway inventò il pedale tonale (1874), il cui effetto è quello tenere sollevati soltanto gli smorzatori di quei tasti che si abbassano nel momento in cui si aziona il pedale.
Il XX secolo
Il passaggio dal tardo-romanticismo al ‘900 fu lento e graduale. Molti compositori iniziarono la loro attività produttiva durante l’ultima fase del pianismo romantico per poi protrarsi, in netta evoluzione, fin quasi alla metà del XX secolo.
Intorno alla fine dell’Ottocento si ferificò un progressivo cambiamento dello stile; la ricerca timbrica, armonico-tonale e ritmica segnarono una nuova fase nello sviluppo della letteratura pianistica.
A differenza di quanto si era verificato durante il secolo XIX, in cui ogni compositore aveva dedicato, chi più chi meno, molta parte delle proprie produzioni al pianoforte, nel XX secolo solo Ravel, Bartók e Prokofiev mostrarono una predilezione per l’opera pianistica che si mantenne costante per tutto il loro periodo creativo. Questo perché il pianoforte aveva perso il suo ruolo predominante che aveva avuto durante il Romanticismo e per tutto l’Ottocento. Nell’epoca moderna il pianoforte sembra avere suscitato minore interesse verso i compositori e questo può essere spiegato con motivazioni di varia natura.
Da una parte è cambiata la figura del compositore, che prima era anche interprete e che rivolgeva al pianoforte (strumento che lui adoperava nelle sue esibizioni) tutte le attenzioni e le proprie ricerche tecnico-espressive; questa bivalenza, propria dei compositori del XIX secolo, di essere i creatori e allo stesso tempo gli interpreti della loro musica, aveva contribuito ad alimentare il repertorio pianistico.
Dall’altra, l’attenzione posta ai problemi timbrici di tutti gli strumenti e alle possibilità di aggregarli ha spostato l’interesse di molti compositori.